L’incontinenza urinaria, pur rappresentando una patologia totalmente benigna, costituisce una malattia di grande impatto sociale a causa della sua diffusione: i dati epidemiologici dimostrano che circa il 50% delle L’elevata prevalenza della Incontinenza Urinaria nel sesso femminile e i recenti progressi in termini di diagnosi e terapia, sia chirurgica che medica suggeriscono alcuni punti di riflessione e di puntualizzazione.
- Le varie sessioni della International Conference on Incontinence (I.C.I) hanno permesso di codificare un metodo di diagnosi semplice del problema incontinenza rivolto a medici di medicina generale e specialisti ginecologi e urologi, non specificamente dedicati alla patologia del pavimento pelvico.
Esso consiste in una serie di step che si possono così riassumere:- anamnesi specifica sintomo – guidata: circostanze delle perdite (es. tosse, starnuto, sforzo fisico), frequenza delle minzioni, sintomi di accompagnamento, presenza di urgenza minzionale, nicturia, pollachiuria.
- compilazione del diario minzionale x 3 giorni in assenza di infezioni in atto: ora e quantità delle urine emesse ad ogni minzione, n° delle perdite involontarie di urina e loro causa, necessità di protezioni igieniche (vedi allegato 1)
- pochi accertamenti essenziali quali es. urine, ed urocoltura
- esame dei genitali per rilevare evidenti segni evidenti di prolasso uterino e/o vaginale
- test di visualizzazione della perdita di urina, facendo tossire la paziente x 5 volte, in stazione eretta, a vescica mediamente piena
- rilevazione del ristagno urinario post-minzionale con catetere o con ecografia sovrapubica.
- Diverso è l’iter da riservare alle pazienti che vadano sottoposte ad intervento chirurgico per incontinenza urinaria da sforzo. In questo campo le raccomandazioni dell’International Continence Society sono chiare: anamnesi specifica approfondita, valutazione del supporto dei visceri pelvici, diario minzionale, esame urodinamico comprendente almeno la cistomanometria e la flussometria con ristagno post-minzionale, a cui vanno aggiunti una valutazione della funzione sfinterica (profilo pressorio uretrale statico o valsalva leak point pressure ) e della mobilità uretrale (Q tip test , ecografia ). Come si vede, in questo caso l’iter diagnostico è più complesso, ma tale indicazione è pienamente giustificata dalla invasività della chirurgia e dalle possibili conseguenze cliniche e medico-legali di una possibile imprecisione diagnostica pre-intervento.
- Nonostante la riabilitazione del pavimento pelvico venga indicata da tutte le linee-guida come l’approccio terapeutico di prima scelta dell’incontinenza urinaria e nonostante vengano svolti annualmente in tutta Italia diversi corsi pratici di istruzione per queste tecniche, essa trova ancora scarsissima applicazione: questo fatto è estremamente negativo, in quanto comporta una carenza grave per una parte considerevole della popolazione affetta, un eccesso di ricorso alle tecniche chirurgiche e ultimamente un aggravio di spesa e un overtreatment, che può risolversi in una serie non piccola di complicanze post-intervento. Se ciò sia da imputarsi alla scarsità di risorse sia in termini di disponibilità di centri idonei, che di personale addestrato o alla scarsa remunerazione fornita dal SSN andrebbe adeguatamente discusso e possibilmente portato all’attenzione delle autorità sanitarie.
- Le tecniche di chirurgia mini-invasiva con posizionamento di sling medio-uretrali sintetiche hanno ormai raggiunto una diffusione, una sicurezza e una stabilità di risultati nel tempo tali da indicarle universalmente come il gold standard della terapia dell’incontinenza urinaria femminile da sforzo, almeno in quella non associata ad una spiccata insufficienza sfinterica. Ciò è particolarmente interessante in quanto le pazienti possono beneficiare di un decorso intra e post-operatorio poco impegnativo, con riduzione del dolore e dei tempi di degenza. La variante trans-otturatoria della tecnica (T.O.T.) con mini-sling (M.U.S.) si presenta inoltre come tecnicamente più semplice e comporta minori rischi di lesioni agli organi vicini, con risultati oggettivi paragonabili.
- Nel campo della terapia medica della vescica iperattiva i farmaci da utilizzare appartengono alla classe degli antimuscarinici: le molecole di più recente introduzione (tolterodina e solifenacina) posseggono una buona specificità d’organo e una importante riduzione degli effetti collaterali (soprattutto xerostomia e confusione mentale) che erano presenti in percentuali significative nelle molecole più datate (ossibutinina). I problemi tuttora esistenti in questo approccio sono costituiti dalla necessità di protrarre la terapia x lungo periodo (almeno per 6 mesi, ma teoricamente per tutta la vita), dai costi non rimborsabili dal SSN, dall’efficacia che non supera percentuali del 60-65 % e dai citati effetti collaterali. Nella paziente anziana il trospio costituisce il farmaco di scelta proprio a causa dell’assenza di effetti collaterali a carico del sistema nervoso centrale. Sono del resto all’orizzonte interessanti novità farmacologiche, soprattutto tenendo presente il fatto che a tutt’oggi non esiste una molecola realmente specifica e di sicura efficacia per tale patologia: tra di esse i B3-mimetici e i derivati del Pyrogallolo. La neuro stimolazione del nervo pudendo a livello del malleolo tibiale esterno costituisce una alternativa terapeutica molto interessante per queste pazienti: si tratta di una pratica ambulatoriale mini-invasiva che riserva risultati molto buoni, anche se ancora poco diffusa. La neuro modulazione sacrale è pure molto efficace, ma certamente più invasiva e deputata a centri di 3° livello con grande esperienza nel campo.
Lo scopo di questo iter è molteplice: inquadrare esattamente la situazione e i reali disturbi della paziente (es. distinzione tra pollachiuria e poliuria), valutazione della capacità funzionale vescicale, presa di coscienza della gravità del problema da parte della paziente e del curante, formulazione di una prima ipotesi diagnostica. Quest’ultima permette già un iniziale affronto terapeutico del problema, evitando all’inizio accertamenti invasivi e costosi, in genere mal tollerati dalle pazienti; vengono indicati come presidi terapeutici i mutamenti dello stile di vita (es. normalizzazione dell’alvo, riduzione dell’introito di liquidi in caso di poliuria, riduzione della caffeina), la riabilitazione del pavimento pelvico, la correzione di atteggiamenti posturali scorretti e la terapia anticolinergica in caso di sospetta vescica iperattiva, caratterizzata essenzialmente da pollachiuria e urgenza minzionale con fughe di urina per urgenza incoercibile e/o nicturia. Gli step successivi, da intraprendere in caso di insuccesso di tali terapie, di prolasso genitale significativo o nei casi classificati come “complessi” (es. pregressi interventi uro-ginecologici, ematuria, dolore vescicale, neuropatie, ecc.) ripercorrono poi i consueti iter dell’urodinamica clinica e strumentale, riportandosi quindi in un terreno clinico di secondo livello.
Per concludere queste brevi note possiamo coltivare la speranza che l’incontinenza urinaria possa acquistare in un futuro prossimo la dignità di malattia sociale (vedi anche il sito della Fondazione Italiana Continenza – F.I.C.), con innegabili vantaggi per i pazienti e per i ricercatori; essa richiede ormai una notevole raffinatezza di approcci diagnostici, un costante aggiornamento delle tecniche e una grande duttilità di interventi, che implicano sempre di più la nascita della figura di un esperto globale della materia.
Scarica l’allegato 1 (istruzioni e diario)